Transatlantico Andrea Doria, foto Istituto Luce |
"Scenda, comandante. A bordo non c'è più nessuno... Scenda o risaliamo noi e restiamo con lei". Oceano Atlantico, mattina del 26 luglio 1956, al largo del faro di Nantucket, affondamento dell'Andrea Doria, dialogo tra il "secondo" Osvaldo Magagnini e il comandante del transatlantico italiano, Piero Calamai.
Comandante Pietro Calamai |
Stockholm |
Hall in prima classe della Andrea Doria |
L'SOS dell'Andrea Doria parte subito e viene raccolto da diverse unità in una zona dell'Atlantico molto trafficata. A 44 miglia di distanza, avanza veloce verso l'Europe il magnifico transatlantico francese Ile de France. Il comandante Raoul De Beaudéan viene informato della richiesta di aiuto della grande nave italiana che gli arriva di rimbalzo da un'altra imbarcazione. Per lui si apre un dilemma: la vigente Convenzione Internazionale per la sicurezza della vita in mare, in vigore dal 1929, è stata resa meno rigida nel 1948. Tecnicamente De Beaudéan non è obbligato a intervenire, ma l'esperto capitano francese decide di seguire l'istinto e fa chiamare direttamente l'Andrea Doria: "Avete davvero bisogno di aiuto?". La risposta è agghiacciante: "Abbiamo bisogno di assistenza immediata". Così la Ile de France inverte subito la rotta e si precipita a tutta forza verso il luogo dell'impatto che, per la precisione, si trova in un punto dell'Atlantico a 40°30' Nord e 69°53' Ovest. L'intervento francese sarà decisivo. L'Ile de France arriva sul luogo del naufragio poco dopo l'1 e 30 di notte e si mette in parallelo alla nave ferita a circa 400 metri di distanza con tutte le luci accese. Così resterà tutta la notte, facendo diga e creando una vasta area di mare piatto sul quale le sue scialuppe di salvataggio correranno più volte avanti e indietro portando in salvo 753 persone. Altre quattro navi mercantili e alcune unità della Guardia Costiera americana, completano l'opera.
Giornale che annuncia la tragedia |
Sulla grande nave morente, poco dopo le 5, ci sono solo gli ufficiali. A poppa, dunque, si svolge la discussione tra Calamai e Magagnini di cui riferiamo all'inizio. Una prima volta, gli ufficiali scendono nella scialuppa n. 11 attraccata alla biscaglina sotto il ponte Lance. Dalla barca, Magagnini chiama il comandante e lo invita a scendere. Calamai dà una risposta netta: "Andate. Io resto". Magagnini minaccia: "Se lei resta, torniamo su anche noi". Il vecchio lupo di mare, che ha diretto con grande precisione e fermezza le operazioni di salvataggio, è come se fosse morto nel momento del'impatto tra la Stockholm e la sua bella nave. Non si riprenderà più, nemmeno negli anni successivi. Lì per lì risponde: "Andate... Andate, semmai vi raggiungo a nuoto". Così, nel bel mezzo dell'Oceano Atlantico, mentre l'Andrea Doria è sempre più vicina alla sua fine, si svolge una scena surreale, quasi buffa, se non fosse drammatica, vera e piena di dignità. Magagnini e i suoi ufficiali risalgono a bordo e spiegano a Calamai che se lui pensa di affondare con la nave, tutti loro lo seguiranno e condivideranno la sua sorte. Solo così, il comandante si convince e accetta di mettersi in salvo. Magagnini sta bene attento a far scendere gli ufficiali in ordine di grado in modo che Calamai sia l'ultimo a lasciare la nave. Per altre quattro ore e mezza, l'Andrea Doria resta "sdraiata" sul fianco capovolgendosi a poco a poco. Poi s'inabissa lentamente di prua finendo adagiata su una fondale di appena 70 metri.
Andrea Doria piegata in un fianco |
Le cause dell'incidente furono al centro di una vicenda giudiziaria che durò fino al gennaio del 1957. In discussione chi dovesse farsi carico dei risarcimenti assicurativi tra le compagnie (l'Andrea Doria valeva circa 40 milioni di dollari) e delle richieste di danni di parenti delle vittime e dei paseggeri. Tutti i protagonisti vennero interrogati e, a poco a poco, si capì che c'erano stati errori a bordo della Stockholm (Carstens non aveva tenuto conto abbastanza della rotta reale dell'Andrea Doria, aveva letto male il radar e non aveva fatto lanciare i prescritti segnali acustici) ma che anche gli armatori dell'Andrea Doria avevano le loro responsabilità. Secondo un studio prodotto nel processo, infatti, la nave, al momento dell'impatto, non era sufficientemente zavorrata e, quindi, la sua stabilità era al di sotto degli standard minimi previsti dai suoi stessi costruttori. In realtà, le regole sulla stabilità prescrivevano che i serbatoi di nafta, mano a mano che il consumo di carburante li svuotava, dovevano essere riempiti di acqua di mare per mantenere la nave in equilibrio. Ma questa operazione costa perché le norme vietano di scaricare l'acqua sporca di nafta in mare e prescrivono processi costosi per lo smaltimento. Per questo, le compagnie (compresa l'Italia di Navigazione) tendevano a non spingere i comandanti a riempire d'acqua le taniche vuote. In queste condizioni, l'unità che naviga normalmente, non corre rischi, ma con una falla come quella provocata dalla Stockholm, lo sbandamento e il conseguente affondamento, era inevitabile.
A farla breve, i contendenti si resero conto presto che avevano entrambi una quota di colpa (gli svedesi per la meccanica dell'incidente e gli italiani per l'affondamento) e decisero di mettersi d'accordo stragiudizialmente. Le assicurazioni rimborsarono le rispettive perdite e, insieme, Svenska e Italia stanziarono circa 5 milioni di dollari per risarcire passeggeri ed equipaggio.
Andrea Doria fondali 2005 fonte Wikipedia |
Fonte: Repubblica
www.testi-online.it
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